"Epicità sonora, incertezza e fratellanza": "HYBRIS" dei Fast Animals and slow kids è anche questo
Abbiamo contattato i FAST ANIMALS AND SLOW KIDS che ci hanno parlato del loro ultimo album dal titolo "Hybris", delle loro canzoni, dei loro progetti futuri, dei loro gusti musicali e molto altro. Buona lettura.
Chi sono i Fast Animals and slow kids secondo i Fast Animals and slow kids?
Amici. Amici che suonano insieme.
Da dove deriva il nome della band?
Ci vergogniamo sempre molto quando ce lo chiedono ma ormai abbiamo già detto la verità una volta e la via della mistificazione (via che dovevamo perseguire in tempi non sospetti) non è più praticabile. “Fast animals and slow kids” è la traduzione approssimativa di “animali veloci e bambini lenti”, un format televisivo stile 'grande fratello' proposto in uno spassoso sketch dei Griffin. È stato tradotto perché inizialmente facevamo canzoni in inglese.
Come si è formata la band?
“ehi amici, facciamo una band?” “si, ok”. è nata così, un po’ come nascono tutte le bands del mondo in realtà.
L’unica particolarità era che ognuno di noi suonava uno strumento diverso da quello che attualmente utilizza nei Fask. Tutti tranne il chitarrista. Lui è sempre rimasto chitarrista in effetti.
Esce oggi 18 marzo 2012 il vostro disco "Hybris". Quali sono gli ingredienti di questo disco?
Epicità sonora, Incertezza e fratellanza. Forse potremmo metterci anche un velo di “voglia di reagire” ma non vorrei sbilanciarmi, se c’è una cosa che non voglio fare è indirizzare la gente a metabolizzare il disco come lo intendo io.
Ad ognuno il suo, soprattutto nella libertà di interpretazione della musica.
Di quali argomenti avete parlato?
Parliamo di cose accadute e di come abbiamo reagito a queste cose.
Parliamo di noi stessi ma in maniera più generale, non è quindi esternazione completa, è più che altro generalizzazione di quello che ti accade continuamente durante l’esistenza, un racconto se vogliamo.
Mi rendo conto che questa risposta risulta da band intellettualoide spaccapalle quindi cerco di renderla più chiara: è un disco che va inteso come “ehi tu, senti questa storia” e non come “ehi tu, senti questa storia e capisci che dietro c’è una morale e condividi questa morale e diventa un adepto del mio pensiero filosofico e decidi non avere carattere”.
Insomma, se uno ci vuole trovare la sua personale morale va bene ma in realtà va bene anche se uno si compra un gelato alla fragola.
Come sono nate le canzoni (sia da un punto di vista testuale che per quanto riguarda gli arrangiamenti)?
Le canzoni nascono prima di tutto dalla melodia.
Il testo arriva solo secondariamente, quando la linea di ogni strumento è completamente designata.
Spesso progettiamo l’intera canzone basandoci su testi improvvisati così che alla fine anche il testo “ufficiale” risulti costretto all’interno dello schema vocale con cui abbiamo inizialmente strutturato il pezzo. Sembrerebbe una cosa molto limitante ma in realtà ci aiuta a non perdere di vista che anche la voce è uno strumento e deve stare nell’insieme.
Ascoltando "Hybris", l'ascoltatore viene catapultato in una dimensione cupa ed epica in cui si respira aria di morte. Da dove avete preso spunto per concepire questi brani?
In realtà ogni canzone ha la sua origine.
Ha anzi due origini, visto che testo e musica si comportano come entità a se stanti: i testi rappresentano, come dicevo prima, momenti vissuti.
Chesso, quando scrivemmo “Troia” ci trovavamo nel bel mezzo di una di quelle discussioni che dopo mesi di tour a cachet zero e carico-scarico continuo possono fisiologicamente verificarsi all’interno di una band. Quella situazione, ai suoi tempi, non so perché, mi fece venire in mente Ulisse. Non un Ulisse epico però, un Ulisse uomo che cerca di spiegare a tutta la nave come mai ha fatto incazzare mezzo Olimpo e che in realtà voleva solo tornare a casa ed essere felice.
La musica prende spunto dai dischi dei nostri genitori e ci infila in mezzo elementi più nuovi che contraddistinguono bands più recenti tipo i Titus Andronicus, per dire il primo che mi viene in mente. Probabilmente l’epicità di Hybris scaturisce proprio da questi ascolti.
Quali sono i vostri impegni futuri?
Suonare, suonare, suonare fino a quando non ci venga da vomitare.
Tour, collaborazioni, registrazioni?
Il tour inizierà il 16 marzo, si prevedono una quindicina di date fino a fine maggio, poi riprenderemo con l’estivo in giro per tutti i festival italiani. Siamo decisamente soddisfatti di ciò.
Il disco è stato registrato in una cascina (podere macchione) a Binami, una piccolissima città a fianco del lago di montepulciano. Con noi ha collaborato Andrea Marmorini (chitarrista dei seminali LaQuiete) come produttore e fonico, Andrea Suriani come mixaggio e mastering e fra gli altri citiamo anche Nicola Manzan (Bologna violenta, violini su vari pezzi) e Davide Zolli (Mojomatics, percussioni su Troia).
Se doveste consigliare tre artisti contemporanei (band, cantanti, scrittori, pittori, attori...) quali sono i primi tre nomi che vi vengono in mente?
Metz (Band vista pochi giorni fa a Bologna, così, di impeto); Irvine Welsh e The Men (un’altra band).
Cosa ne pensate del trattamento riservato oggi alla musica in Italia, dalla possibilità di emergere alle difficoltà nel trovare date per potersi esprimere?
Direi che come domanda è delicata.
Provo a esprimermi per punti così da potermi dare un ordine mentale:
emergere dipende in gran parte dalla tua professionalità musicale e dalla soglia di melma che riesci a sopportare pur di suonare in giro (mi riferisco ai non-cachet, alle dormite in furgone, alla non-possibilità di una vita regolare ecc ecc). Non siamo una di quelle band che crede alle raccomandazioni visto che per noi è sempre nato tutto sul palco e visto che confidiamo nelle persone e nella loro capacità di scegliere in base ai propri gusti e non perché imboccate da una qualche tipologia di media.
La musica in Italia è vista come un finto lavoro, come se uno si divertisse e basta, come se non ci fossero dietro delle conoscenze tecniche e specifiche (pensiamo a un palco alla schifo-Vasco o ad uno studio di registrazione professionale) che meritano di determinare la condizione di lavoratore a tutti gli effetti.
Questo è sicuramente un errore “statale” dipeso da una profonda diseducazione musicale che inizia già alle elementari e da una mancanza di attenzione all’addotto mastodontico che la musica determina ma è secondo me sopra tutto frutto di un esteso disinteresse soggettivo, o meglio di un rapporto superficiale delle persone nei confronti di tutto ciò che sia qualificabile come arte.
Per spiegarmi meglio: è inutile starsi ad incazzare perché “non c’è mai musica bella in giro” e poi sei il primo a non andare ai concerti e a non supportare quei pochi locali che ancora azzardano una programmazione innovativa.