JB è il nuovo disco di Johnny Bemolle

johnnybemolleIl 16 giugno il cantautore Johnny Bemolle's, autoproducendosi, ha fatto uscire il suo disco "JB". Di lui non si conosce granchè, se non il fatto che ha lasciato in soffitto in una valigia rotta e polverosa queste sue nove canzoni di un trasognato folk all'americana che strizzano l'occhio anche agli esperimenti più morbidi di Eddie Vedder in viaggio verso "le terre selvagge".

"Johnny" per esempio è un'energica canzone acustica che parla di un Ziggy Stardust di frontiera e lo fa con la muscolarità di una Ani Di Franco addolcita dagli archi proto-sinfonici alla Sufjan Stevens.
"East Paris" è un incedere di chitarrina americana old-school ma ha anche l'aspro sapore delle ballate acustiche dei Pearl Jam senza nessuna elettrificazione e con una melodia a denti stretti.
"Budapest in rain" potrebbe stare in un disco di un Patrick Wolf sotto sedativi come anche nella Nebraska di Springsteen. Eppure anche qui il cantautore non si limita all'esercizio del copia e incolla del manuale di folk americano, ma cresce in dinamica ed è sostenuto da un vento d'archi che portano alle ossa del pezzo il refrigerio di autunno di carne.
E dopo Parigi e Budapest, dopo tanto vagabondare, Johnny Bemolle's fa tappa a Granada per incontrare un flauto dolce e un violino che parlano al cuore del folk europeo così che il pezzo "Granada's beggars" diventa il suo inno di appartenenza.
"In the cripple of Bruges" aumenta la tensione emotiva con un uptempo e una voce caldissima, mentre "Scotland" fa pensare alla reinvenzione di un fingerpicking meno ortodosso che va sciogliendosi tra archi e fiati in un momento di quieta e intensissima pausa strumentale.
Con "The fiddler of Dooney" si fa alternative folk quasi con un approccio punk alla Pogues sotto morfina.
L'ossatura di questo pezzo sta tutta in un violoncello quasi dronico che, nel suo dare un bordone costante per tutto il brano, lascia pochi e mirati incastri alla bellissima voce di Johnny. Il climax si raggiunge nel finale in un crescendo di timpani orgiastici.
Suonare folk come Micah P.Hinson fa a Providence, non avere un tetto fisso come quest'ultimo, trovare nuovi rifugi ad una ingombrante tradizione che pesa sulle spalle del viandante, e riuscire in tutto questo non era esercizio facile, in più andare oltre i canoni stilistici dell'accademia come in the "Last train to Candem" è una ulteriore conferma di bravura. Chissà se tutto questa fatica ci farà riapprezzare questo artista in un altro viaggio-album bello come questo. Che Johnny Bemolle's non si perda nel non luogo della virtualità è una viva e appassionata speranza. Per il resto non si può che parlare di inizio di un nuovo cammino di europeizzazione del folklore americano. E scusate se non è poco.


TRACCE

1. Johnny
2. East Paris (intro)
3. East Paris
4. Budapest in the rain
5. Granada's beggars
6. The cripple of Bruges
7. Scotland (Johnny reprise)
8. The fiddler of Dooney
9. Last train to Camden

marco pancrex