Cohousing: vita solidale in condominio

Vivere in un condominio comune. O meglio. Avere la propria casa ma, con spazi comuni per risparmiare e socializzare, senza rinunciare alla privacy. Si chiama cohousing, una pratica piuttosto diffusa in Nord Europa e negli Stati Uniti, di cui cominciano a prendere forma le prime esperienze anche in Italia.
E' un modo nuovo di "coabitare" che porta con sé anche un miglioramento della qualità della vita.


Cohousing è un termine inglese che significa “coabitare”: ma forse in questo caso sarebbe meglio tradurlo come “vita solidale in condominio”. È un modo di abitare nuovo per l’Italia ma già rappresentato in Emilia-Romagna, e ha attirato su di sé l’interesse di istituzioni e associazioni. In sostanza, si tratta di caseggiati abitati da 20-40 famiglie in cui una parte dello spazio è privata: alloggi familiari, o individuali nel caso di single. Però fino a un 20-25% dello stabile è composto da parti comuni e collettive: sia spazi, sia servizi che consentono di risparmiare denaro e di avere benefici sociali ed economici.

I cohousers, i residenti, non vanno ad abitare nel caseggiato soltanto perché vi trovano un’abitazione adeguata, ma soprattutto perché ritengono “adeguati” gli altri inquilini. Tutto parte dalla formazione della futura comunità: persone che si scelgono reciprocamente. In qualche modo “si piacciono”: anche se vengono da esperienze personali molto diverse, si sentono in grado di andare d’accordo e soprattutto desiderano interagire. Alla base della formazione del gruppo non ci sono principi ideologici, morali o religiosi, né ci sono regole che limitano, regolamentano o impediscono l’uscita: le comunità tuttavia tendono a essere molto coese, innanzitutto per la necessità di scegliere insieme il luogo in cui andare ad abitare, stabilire come strutturarlo, tratteggiare un progetto condiviso di vita e di gestione.


Il modo in cui strutturare spazi e servizi collettivi è la prima decisione che i futuri cohousers prendono insieme. Il ventaglio della scelta è molto ampio: comuni possono essere ad esempio l’orto,  un locale per le feste o in cui dedicarsi agli hobby, la sala giochi dei bambini, alcune camere da letto destinate agli ospiti, addirittura la cucina. Anche per i servizi condivisi si può scegliere: gestire insieme la cura dei bambini piccoli o degli anziani; organizzare una lavanderia comune o una sorta di portineria cui affidare incombenze come il pagamento delle bollette; acquistare una o più auto in car sharing; creare un Gas (Gruppo di acquisto solidale) con relativo magazzino per le provviste.

Il risultato è una migliore qualità della vita e un risparmio in termini ecologici ed economici. I cohousers sono volti amici che si semplificano vicendevolmente la vita, il che genera un senso di benessere e di sicurezza; i servizi e gli spazi comuni consentono economie: mandare il bambino al micronido del coshousing ha costi inferiori fino al 75% rispetto all’asilo nido classico; lo spazio collettivo per le feste o gli hobby rende superfluo un ambiente della casa dedicato a questo scopo, e aiuta a limitare i costi di costruzione (o ristrutturazione), manutenzione e riscaldamento.

Sul versante ecologico, i costi condivisi rendono più facile l’installazione di impianti solari ed eolici per la produzione di energie rinnovabili: e il più delle volte i cohousing sono molto attenti agli accorgimenti progettuali e alle tecnologie che consentono di limitare i consumi di energia e i costi del riscaldamento. Sempre sul versante dell’energia, la possibilità di stipulare contratti collettivi con gestori privati consente risparmi consistenti sulle bollette.

Ancora, il car sharing induce a limitare l’uso dell’automobile, con benefici per l’ambiente e minori costi per bollo e assicurazioni, pur senza rinunciare a utilizzarla quando davvero serve. Il Gas, Gruppo di acquisto solidale, consente di fare la spesa collettiva presso fornitori locali. Questo significa ottenere prezzi da ingrosso e contemporaneamente evitare i lunghi e inquinanti viaggi delle merci di solito legati ai canali tradizionali di distribuzione e di acquisto.

Nato in Danimarca fra gli anni ’60 e ’70 ad opera dell’architetto Jan Gudmand-Høyer, il cohousing si è imposto all’attenzione di un numero crescente di persone e di professionisti della progettazione partecipata. Fra gli esempi italiani c’è l’esperienza nata dall’incontro fra l’agenzia per l’innovazione sociale Innosense Partnership e il Dipartimenti Indaco del Politecnico di Milano: ne sono nati cohousing.it, la community italiana di chi abita o vuole abitare in cohousing, che conta 4.500 iscritti circa, e Cohousing Ventures, società di servizi nata proprio per progettare, promuovere e completare progetti di cohousing sul territorio italiano.

Quelli attualmente attivi sono Urban Village (zona Bovisa, 32 unità immobiliari la cui consegna è prevista per l’estate); GreenHouse a Lambrate (serre per l’orto e pannelli fotovoltaici comuni; sarà pronto nel 2012); Corti di Nerviano, che nascerà dalla ristrutturazione di una villa settecentesca alle porte di Milano. Ma il cohousing sta partendo anche a Torino, ad esempio, con la ristrutturazione di uno stabile nella zona di Porta Palazzo, e a Osimo, con il complesso abitativo ecologico “Il Borgo”.

In Emilia-Romagna, in particolare, il punto di riferimento è E’/Co-Housing, l’associazione intenzionata a creare una rete di cohousing a Bologna e dintorni, ma non solo: sul sito internet del gruppo proprio in questi giorni è comparso l’avviso che si cercano aspiranti cohouser nella zona di Ferrara. Fra i progetti di cohousing ormai in dirittura d’arrivo segnalati dal sito ci sono Il Poggio a Savigno, a 30 chilometri da Bologna, e Castel Merlino a Monzuno.

I dati sono tratti da Ermes Ambiente